Lo scorso inverno le valanghe hanno causato in Europa decine di vittime. Solo in Francia, Paese particolarmente colpito da questo tipo di eventi, i morti sono stati 41. È un bilancio drammatico ma non eccezionale: ben cinque volte, nel corso degli ultimi trent’anni, questa cifra è stata raggiunta o superata. L’andamento del grafico degli incidenti da valanga non presenta sensibili flessioni.
Ciò non significa che i tentativi di prevenzione siano inutili. Si deve infatti tener conto dell’enorme aumento di frequentatori della montagna e dello sviluppo di nuove pratiche sportive. Trent’anni fa i due terzi degli incidenti mortali erano dovuti a cadute di valanghe su zone abitate; oggi le vittime sono principalmente escursionisti e sciatori fuori pista.
La classificazione tra zone edificabili e non, a seconda del rischio di valanghe, come pure le opere di protezione delle abitazioni, sono misure giudicate globalmente efficaci.
Di fronte ai numerosi pericoli che minacciano le zone montane – inondazioni, piene improvvise, torrenti di fango, smottamenti del terreno ed altri sismi -, ricercatori ed esperti del settore sono spesso impotenti. La prevenzione si fonda, innanzitutto, su un paziente lavoro di cartografia che permette di determinare – attraverso osservazioni sul terreno, fotografie aeree o immagini satellitari – la “probabile localizzazione” delle valanghe, il grado di erosione del suolo, il rischio di movimento del terreno.
Gli scienziati possono ricorrere, successivamente, a simulazioni al computer di questi fenomeni in laboratorio. Il Cemagref di Grenoble, ad esempio, studia i movimenti della neve trasportata dal vento in una galleria aerodinamica, o le piene dei torrenti utilizzando dei canali idraulici ad inclinazione variabile. Si cerca, soprattutto, di mettere a punto dei modelli numerici, i soli che possano render conto di processi così complessi.
L’unità di ricerca sugli ecosistemi e paesaggi montani del Cemagref si è perciò associata ad équipes austriache, spagnole, greche e svizzere per un programma europeo di studio sull’interazione tra la foresta e la caduta di massi, battezzato “Rocfor”. Anche se le frane uccidono molto meno delle valanghe, possono infatti causare gravi danni alle abitazioni e alla rete stradale.
L’alternanza gelo-disgelo e lo scioglimento primaverile delle nevi sono causa del distacco di pietre, il cui comportamento aleatorio – partenza di blocchi, rimbalzi, urti contro alberi, collisioni con le rocce – è estremamente difficile da analizzare. Dipende, infatti, non solo dalla geologia del sito e dal suo rilievo, ma anche dalla densità di alberi.
I ricercatori utilizzavano finora dei modelli a due dimensioni, senza prendere in considerazione gli spostamenti laterali provocati dal manto forestale. Ma la foresta è come un biliardo: più numerosi sono gli urti contro gli alberi, maggiore è la dispersione di energia, e più ridotto è il rischio finale.
La struttura del bosco, i diversi tipi di piante, il diametro dei tronchi, la forma delle chiome recise e il tipo di sistema di radici sono altrettanti parametri che entrano in gioco.
Un esperimento a grandezza naturale – quattordici blocchi, da 500 kg a 2 tonnellate, sono stati fatti precipitare lungo pendii boscosi in Alta Savoia, e la loro traiettoria è stata filmata – ha dimostrato che, su una pendenza dai 25 ai 35 gradi, una foresta può fermare l’80% dei blocchi pesanti fino a 15 tonnellate.
Una seconda campagna di misurazioni, prevista per la primavera del 2000 nella località di Vaujany, in Val d’Isère, permetterà di incamerare nuovi risultati: questa volta verranno gettati cento massi, in zone boscose e su terreno scoperto, allo scopo di calcolare, per raffronto, la capacità di assorbimento di energia degli alberi.
I dati raccolti, incrociati con un rilevamento topografico completo e con le caratteristiche di ogni albero, alimenteranno un modello tridimensionale computerizzato di propagazione della caduta di massi. Ciò aiuterà nella sistemazione razionale delle opere di protezione, reti, gabbie e argini e dovrà anche contribuire a definire le strutture forestali più efficaci contro il rischio di frane. Lo stesso modello computerizzato potrà essere applicato agli studi sulle slavine o sulle piene torrenziali.