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Primi duri scontri al processo antitrust contro Microsoft

20 Marzo 2002

Primi duri scontri al processo antitrust contro Microsoft

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Prime scaramucce in tribunale a Washington all’apertura del nuovo processo antitrust contro Microsoft.I nove Stati affermano che “non siamo qui per cercare di distruggere Microsoft”, mentre l’azienda sostiene che le …

Prime scaramucce in tribunale a Washington all’apertura del nuovo processo antitrust contro Microsoft.
I nove Stati affermano che “non siamo qui per cercare di distruggere Microsoft”, mentre l’azienda sostiene che le loro richieste avrebbero “un impatto devastante sull’ecosistema del Pc”.

Per primo parte all’attacco Brendan Sullivan, avvocato degli Stati che, nella sua introduzione, dice che “Microsoft sapeva che erano necessarie misure estreme per preservare il suo monopolio” e “ha utilizzato un arsenale virtuale di armi illegali” per raggiungere questo fine.

Un attacco così forte, aveva bisogno di parole altrettanto forti da parte della difesa. E dunque, Dan Webb (un cognome che sembra scelto apposta) rigetta le accuse e dichiara che le sanzioni richieste dagli Stati “obbligherebbero il gruppo a ritirare Windows dal mercato”, riportando in tribunale le tesi espresse qualche giorno fa da Ballmer, PDG di Microsoft.

Infatti, proseguendo, l’avvocato ha anticipato che questa eventualità sarebbe stata espressa da Bill Gates, co-fondatore e attuale presidente del consiglio di amministrazione del gruppo, quando sarà chiamato a testimoniare al processo, insieme a Steve Ballmer.

I nove Stati ancora in giudizio contro Microsoft e contrari all’accordo amichevole, hanno fatto arrivare a Washington molti dei loro ministri della giustizia, tra i più risoluti nell’accusare l’azienda, come Richard Blumenthal (Connecticut), Tom Miller (Iowa) e Tom Reilly (Massachusetts).

La loro posizione è sempre la stessa ed è stata ripetuta da Brendan Sullivan davanti al giudice: “Le sanzioni dovrebbero creare un terreno favorevole per la concorrenza e dovrebbero essere giuste ed efficaci”.

Dunque, Windows dovrebbe produrre una versione del suo sistema operativo “modulabile”, personalizzabile secondo le scelte degli utenti, oltre a quella tradizionale che include altri software.

“Vostro onore, è impossibile”, ha controbattuto l’avvocato di Microsoft al giudice, spiegando che questo obbligherebbe l’azienda a produrre “4.096 versioni” di Windows.

Sulla questione Internet Explorer, poi, l’avvocato Webb ha dichiarato che accettare le richieste della controparte e trasformare il browser in un software libero e far cadere il codice sorgente nelle mani del pubblico, consisterebbe nel “confiscare ingiustamente miliardi di dollari della proprietà intellettuale di Microsoft”.

A questo punto, l’avvocato Webb cala l’asso e chiede al giudice di annullare il processo, dichiarando che solo il dipartimento di Giustizia “ha l’autorità esclusiva per stabilire una politica nazionale in materia di concorrenza”, giudicando che l’accordo amichevole “senza alcun dubbio, risponde a ognuna delle pratiche anticoncorrenziali” del gruppo.

La risposta la dà Steve Kuney, un altro avvocato degli Stati, quando afferma che proprio Bill Gates ha la più grossa responsabilità. Secondo l’avvocato, infatti, è stato il co-fondatore di Microsoft, in prima persona, a sottomettere ad approvazione molti messaggi di posta elettronica interni a Microsoft nei quali si discutevano le posizioni da prendere con diversi partner come Dell, Intel e Compaq.

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